Versiliadanza

Il prossimo 7 Novembre, alle ore 21 si riapre la Stagione Danza al Teatro Cantiere Florida di Firenze con un appuntamento imperdibile.

 

THE WHALES SONG / IL CANTO DELLE BALENE

Dice Chiara: Il Canto delle Balene è un lavoro pensato con Matteo Ramponi; performer e amico di cui ho sempre ammirato l’abilità nel diventare invisibile. Posto all’interno di una coralità lui sembra dissolversi tra i corpi. Il Canto delle Balene è però anche un’ opera che ha debuttato sull’orlo del precipizio, ed è ora. Era Marzo 2020, in Italia venivano chiusi gli aeroporti. A Gent, in Belgio, noi andavamo in scena senza capire. Sentivamo arrivare con forza qualcosa a cui non eravamo in grado di dare un nome, troppo dentro alla tempesta

per saper guardare. Il lavoro era stato scritto intorno ai concetti di lontananza e di ri-chiamo quando ancora queste parole non erano state ridefinite, ma si è trovato a debut-tare nel momento esatto in cui questi termini si tingevano di tetri significati. Noi abbiamo solamente potuto rilassare i muscoli e non opporci alla tormenta. E ora, quando a di-stanza di mesi ci riavviciniamo a questa creatura, come possiamo parlarne? Vediamo la nostra opera riemergere come riemergono i fossili. La sua struttura è invariata, il suo scheletro flessibile non si è opposto alla corrente sopravvivendo. Ma le tempeste cam-biano tutto. Sempre. Non so parlarvi de Il Canto delle Balene perché questo lavoro, pen-sato come paesaggio immersivo il cui cuore viene ridisegnato ogni volta dalle persone che scelgono di attraversarlo, si basava su tutto ciò che io sapevo un tempo del mondo e della gente. Ora io, noi, torniamo ad attraversarne la carcassa con timore e stupore: i cuori colmi di gioia all’idea di restituirgli vita e lo sguardo terrorizzato al pensiero di non saperne prevedere la nuova identità. Dice Matteo: É la morte che ci avvicina, l’uno all’altro. Guardare negli occhi la separa-zione. Accorgersi che là siamo lontanissimi, ma riusciamo a riconoscerci. Infinitamente vi-cini nella lontananza. É un lavoro che ha anticipato questo periodo di pandemia e di silen-zio. Perdere la vista, andando in altre dimensioni. Lo spazio non è quello che abitiamo. Dice Giulia: Cosa faremo? Dove saremo? Adesso che la vita si è spostata da un’altra parte, forse non è più qui. Forse non la vediamo più. Ora che guardiamo negli occhi la se-parazione. Ci accorgiamo che siamo lontanissimi, ma riusciamo a riconoscerci. Infinita-mente vicini nella lontananza. Le balene sono in grado di far viaggiare il suono del loro canto per molti kilometri. Tra l’ossigeno e l’acqua, tra la notte e il giorno. Rispondono con una determinata frequenza ad ogni messaggio che ricevono o credono di ascoltare, misu-rano con affettuosa intelligenza le distanze. Alla fine dell’esperienza collettiva ognuno di noi può vedere la sua balena o diventa, insieme agli altri, un cetaceo di cui l’enorme corpo è portatore di materia onirica e d’amore, di vita, di morte. Perdersi nell’oceano per guar-darsi davvero. Il Canto delle Balene è l’opera più radicale, indefinibile e rivoluzionaria di Chiara. Dice Valeria: La cromia spettacolare del giorno e della notte si sussegue sopra di noi, at-torno a noi, il tempo sembra essersi fermato, ma non credo che sia così, la natura allora si è fermata? Dobbiamo solo guardare con il nostro tempo, guardare il mutare che col suo tempo trasforma tutto, sperimentando in noi stessi l’elemento vivente del fluire del colore, anima della natura. Ogni giorno i colori sono diversi, ci emozionano senza poter scegliere, possiamo guardarli oppure ignorarli, ma non possiamo sottrarci al cambiamento e non dobbiamo trascurare la capacità umana di pensare, che può rendere cosciente la causa del nostro emergere. Possiamo scegliere in che modo e quando emergere come fanno i cetacei. I cetacei possono emergere a qualunque ora del giorno, anche se la luce radente delle prime ore del mattino e del tardo pomeriggio spesso crea le migliori occasioni, ma in che modo sorge in me la decisione di emergere? È questa capacità di pensiero, più che l’assenza di costrizioni, quel che più conta ai fini della libertà. Per me The whales Song: È un invito dell’artista a posare lo sguardo “oltre” la superficie delle cose, come in Bleu de ciel (Azzurro cielo), Vassily Kandinsky 1940. [Kandinskij, in questo dipinto, ci mostra un mondo sconosciuto, penetra con i suoi occhi all’interno della sostanza della vita invisibile e ci restituisce una visione originale che va al di là di ciò che l’occhio riesce a mostrarci. La pittura biomorfa, come tutta la pittura di Kandinsky, è un mezzo per mostrare un’altra realtà. Non solo una visione onirica e fantastica del mondo del pittore ma un coinvolgi-mento pieno dello spettatore, che attraverso i sensi viene proiettato in un’altra realtà. Le

immagini pulsano e gli organismi sembrano formicolare davanti allo sguardo dell’osserva-tore. Gli esseri volteggiano in un cielo blu che sembra avere la consistenza della nebbia. Non vi è alcuna limitazione nel loro volare, sono liberi di muoversi senza limitazioni geo-metriche.] Quest’ultimo inciso ho pensato che fosse giusto scriverlo per capire perchè penso che ci sia un forte parallelismo tra Balene e l’opera Bleu de ciel, qualche volta penso che hai reso “rappresentazione” l’opera di Kandinsky con un altro linguaggio. Dice Fra: La prima volta che ho visto The Whales Song è stato a Gent, il secondo giorno di replica, il giorno successivo al debutto. Prima non mi era ancora chiaro dove stessimo andando, in che direzione Matteo si muovesse. Poi ho visto Matteo “alla fine” dello spetta-colo tornare al suo posto d’origine, una seduta tra tante in mezzo al pubblico, rimettersi il cappotto, prendersi il suo tempo e poi uscire e scambiare parole con le ultime persone ri-maste. È stato lì che ho iniziato a vedere qualcosa. Poi questa visione è stata interrotta e poi vietata. Allora ho rincontrato Matteo dopo mesi di distanza e assenza, radicate e de-formate dal tempo. E lì ho scoperto che tutto era sopravvissuto, e che anzi, la forma era più chiara, non più dubitante, mi viene da usare la parola superata Nel senso di un supe-ramento della stessa, non più una forma ma un organismo, vivente e nutrito dalle cose in-torno, affamato ma paziente, leggero o imprevisto come un taglio. Quando mi dimentico del suono, perché diventa una parte del corpo, so che sono dentro, quando il suono di-venta il clima e non il racconto sento che c’è spazio per viverci dentro.

 

Crediti:

Ideazione e Creazione Chiara Bersani

Azione Matteo Ramponi

Suono F. De Isabella

Partecipazione alla creazione sonora Ilaria Lemmo

Luce e scena Valeria Foti

Tecnica Paolo Tizianel

Consulenza Drammaturgica Marco D’Agostin

Coach Marta Ciappina

Styling Greta Rizzi

Mentoring Alessandro Sciarroni

Video Alice Brazzit

Organizzazione di Produzione e Logistica Eleonora Cavallo

Promozione, comunicazione e cura Giulia Traversi

Consulenza Amministrativa Chiara Fava

produzione Associazione Culturale Corpoceleste_C.C.00# co-produzione Kunstencentrum Vooruit (Gent, BE), SantarcangeloFestival (Santarcan-gelo, ITA); Armunia/Festival Inequilibrio (Rosignano, ITA), Theatherfestival Boulevard (‘s-Hertogenbosch, NL);

con il supporto di Centrale Fies (Dro, ITA), Teatro Gioco Vita (Piacenza, ITA) CSC – Cen-tro per la Scena Contemporanea (Bassano del Grappa, ITA), Versiliadanza – Teatro Cantiere Florida (Firenze, ITA), Piemonte dal Vivo – Circuito Regionale Multidisciplinare (To-rino, Italia), Lavanderia a Vapore, Centro di Residenza per la Danza (Collegno, ITA).